
Il Sito dei Cavalli,delle Amazzoni e dei Cavalieri
IV CAPITOLO LA NASCITA DELL'EQUITAZIONE ACCADEMICA
07.12.2020 16:07Fu nel Medioevo che il cavallo cominciò a essere utilizzato anche per fini agonistici e di piacere. Il cavallo era per tutti il mezzo di trasporto e di lavoro per eccellenza. Montare a cavallo diventò però anche fenomeno di costume per l'aristocrazia, ed esercitarsi nell'equitazione di alta scuola fu presto un obbligo per ogni nobile. I tornei richiedevano cavalli bene addestrati e sottomessi e ovviamente anche abili cavalieri.
Nel Rinascimento presso le corti d'Europa iniziarono a svilupparsi vere e proprie scuole d'equitazione dove operavano uno o più maestri al servizio dei cortigiani: oltre all'equitazione vi s'insegnava l'uso delle armi, la danza, la musica, la pittura e la matematica. La capostipite fu l'Accademia di Napoli, che raggiunse il massimo splendore nel 16° secolo per opera di Giovan Battista Pignatelli, attirando allievi da tutta Europa. Il gentiluomo napoletano sorpassò tutti i suoi contemporanei nell'arte del cavalcare e dell'istruire cavalli e cavalieri e fece erigere a Napoli le prime 'cavallerizze' (maneggi).
Pignatelli fu il più famoso allievo di Federico Grisone, riconosciuto dai suoi contemporanei come il padre dell'arte equestre e considerato il più antico tra gli autori di testi sull'equitazione: il suo libro Gli ordini di cavalcare fu stampato per la prima volta a Napoli nel 1550 e venne poi riprodotto in numerose edizioni sia italiane sia straniere (fu tradotto in francese, tedesco, spagnolo e inglese). A Napoli presso di lui si formarono anche i futuri capiscuola francesi Salomon de La Broue e Antoine de Pluvinel. Tra i grandi autori attivi nella seconda metà del Cinquecento, periodo in cui vennero dati alle stampe i primi e più famosi trattati di equitazione ai quali si fa risalire la nascita dell'equitazione accademica, figura il gentiluomo ferrarese Cesare Fiaschi che pubblicò a Bologna nel 1556 un Trattato dell'imbrigliare, maneggiare et ferrare cavalli.
Non si hanno notizie precise dell'attività d'autore di Pignatelli, ma è certo che, attraverso la sua opera di maestro, Napoli si confermò in quel periodo come il centro d'irradiamento dei principi dell'equitazione e della nuova cultura che si andava formando attorno al cavallo. Gli echi se ne possono cogliere in tutta la letteratura del secolo, dal Mercante di Venezia di Shakespeare alle Vite del Vasari. La nobiltà di tutta Europa giungeva nella città partenopea per apprendere l'arte che fu di re e di principi ma anche di papi, cardinali e alti prelati. La fama di Pignatelli fu talmente grande che nei decenni successivi, sino al Seicento inoltrato, per illustrare i propri meriti i cavallerizzi più famosi avrebbero vantato un apprendistato equestre alla scuola del gentiluomo napoletano o dei suoi allievi. Lo stesso Luigi XIII imparò l'arte di montare a cavallo da Pluvinel, uno dei discepoli di Pignatelli, che espose gli insegnamenti trasmessi al re nelle tavole incise da Crispijn van de Passe per illustrare il libro L'instruction du Roy en l'exercice de monter à cheval, fatto pubblicare da Menou de Charnizay, discepolo e amico di Pluvinel, nel 1625 dopo che, abusivamente, era stato dato alla stampa il libro Le maneige royal nel 1623.
Per tutto il Cinquecento e fino all'Ottocento non vi fu palazzo principesco o reale ove non fosse accolto un cavallerizzo che istruisse il signore e la sua corte nei nuovi e nobili principi dell'equitazione. Claudio Corte, nobiluomo pavese che aveva avuto il suo apprendistato equestre a Napoli, divenne cortigiano di Elisabetta I d'Inghilterra. Lorenzino Palmieri dedicò al granduca di Toscana il suo trattato sulle Perfette regole et modi di cavalcare (1625), mentre Pirro Antonio Ferraro, autore di uno dei più rinomati trattati del Seicento, Cavallo frenato (1602), fu cavallerizzo alla corte di Filippo II di Spagna. Accanto alle corti, anche le accademie divennero, per tutto il Rinascimento e durante il Seicento, centri di diffusione delle tecniche di equitazione. Le più famose furono l'Accademia cavalleresca di Udine (1609), l'Accademia dei cavalieri del Sole di Pavia, ma soprattutto la Stella di Messina e la Delia di Padova. Erano accademie esclusive, riservate per statuto a cavalieri e aristocratici, per accedere alle quali si doveva dimostrare la lontananza dall'esercizio di qualsivoglia 'arte o mercanzia'. L'intento che muoveva gli accademici, come risulta dai loro statuti, era semplice: esercitarsi nelle armi e nell'equitazione per confermare la propria preparazione sul campo e dunque l'essere cavalieri di fatto. A Palermo il viceré don García di Toledo si fece protettore di un'accademia di cento cavalieri armati di tutto punto che, oltre a essere impiegati in tempo di guerra, partecipavano a tutte le giostre e i tornei. La Delia di Padova, che avrebbe voluto persino Galileo Galilei tra gli insegnanti di scienze matematiche per i propri allievi, ingaggiò come cavallerizzo Luigi Santapaulina, autore del terzo volume dell'apprezzato trattato L'arte del cavallo (1696) e famoso anche per aver ideato alcuni celebri balletti a cavallo in occasione dell'arrivo della regina Cristina di Svezia a Roma.
Dalle corti principesche e dalle accademie cittadine si diffuse in tutta Europa l'equitazione italiana, tanto che anche in Francia, in Austria e in altri paesi sorsero centri deputati all'istruzione secondo le nuove tecniche: la Scuola spagnola di equitazione di Vienna (1729) e il Cadre Noir di Saumur (1825), come istituzioni di Stato, sono probabilmente gli ultimi eredi dell'equitazione accademica nata durante il Rinascimento in Italia. All'ombra del principe e delle accademie il cavallerizzo si trasformerà gradualmente nello scudiero, responsabile degli allevamenti equini e di tutta l'organizzazione equestre del sovrano.
Quale fondatore dell'equitazione moderna viene riconosciuto il francese François Robichon de la Guérinière, scudiero di Luigi XV, che aprì un'accademia a Parigi nel 1715 e diresse il maneggio delle Tuileries dal 1730 fino alla morte. La sua opera L'école de cavalerie è l'esposizione metodica della sua dottrina che fu ispiratrice della Scuola spagnola di Vienna e di tutto il movimento francese fino alla Rivoluzione (1789).
Nel 19° secolo l'attenzione dell'addestramento per l'equitazione si concentrò sull'utilizzo del cavallo per scopi militari: i cavalieri e i cavalli, mutate le condizioni del combattimento, erano chiamati a percorrere la battaglia velocemente, superando le asperità del terreno, riunendosi in frotta e separandosi rapidamente per sfuggire all'osservazione nemica e sottrarsi al suo fuoco.
L'equitazione istintiva, una volta prerogativa dei popoli nomadi, ritrovò efficacia nei confronti della rigidità accademica; la preparazione del cavallo militare, vero e proprio trampolino per l'attività sportiva dei giorni nostri, divenne l'obiettivo primario. Contemporaneamente per sport e divertimento si cominciava a sviluppare, soprattutto oltre Manica, la caccia a cavallo e l'utilizzo dello stesso nei grandi spazi all'aperto.
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